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"Through Other Eyes" Intervista all'artista Stefano Zaratin

Francesca Calzà 


Scopri i talenti di T.O.E. Art Market attraverso una serie di interviste esclusive con gli artisti presenti sulla nostra piattaforma. 


Esploriamo insieme le pratiche e le ricerche artistiche portate avanti dagli autori che arricchiscono la nostra comunità con le loro opere uniche. Ogni settimana, vi invitiamo a conoscere meglio le sfide, i linguaggi, i temi e le storie che si celano dietro i loro lavori per entrare a contatto con le menti creative che fanno di T.O.E. Art Market una vetrina vivace e dinamica. 


Siamo qui in compagnia di Stefano Zaratin. Iniziamo subito con qualche domanda per conoscerlo meglio!


Francesca Calzà - Puoi raccontarci un po’ del tuo percorso artistico? Come ti sei avvicinato all’arte?


Stefano Zaratin - Ho sempre amato il disegno fin da adolescente e, dopo i 20 anni, ho iniziato a frequentare vari corsi di pittura e di grafica. Col passare del tempo, però, mi sono reso conto che la mia vera passione era la manipolazione dei materiali, così mi sono avvicinato alla scultura: su legno, su pietra o con la ceramica. Ogni mostra che visitavo fungeva da stimolo per nuove idee. Se ripenso agli inizi, mi vedo come un bambino che sperimenta con qualsiasi cosa gli capiti tra le mani e, via via, senza nemmeno accorgersene, prende una direzione che lo porterà là dove doveva arrivare.

Antique Italian dictionary – Shellfish Matita su carta/2022 cm 42x32
Stefano Zaratin. "Antique Italian dictionary – Shellfish", graffite su carta, cm 42x32, 2022

Francesca Calzà - Quali sono stati gli incontri, i riferimenti culturali o i momenti che hanno avuto un forte impatto nello sviluppo della tua ricerca?


Stefano Zaratin - L’esperienza presso la Sommerakademie di Salisburgo è stata molto importante, rimanere completamente immerso nell’arte per alcune settimane ti cambia il modo di pensare, è come andare in un paese straniero per imparare una nuova lingua, dove all’inizio devi pensare nella tua lingua, tradurre e poi esprimerti. Dopo un po’ di tempo ti accorgi che quel primo passaggio non lo fai più e ti ritrovi a pensare direttamente nella nuova lingua. Una sensazione impagabile. Inoltre, la frequentazione dell’Accademia di Belle Arti è stata altrettanto importante per capire cosa c’era intorno a me. Ho incontrato alcuni docenti che mi hanno dato l’opportunità di conoscere una moltitudine di artisti di alto livello e, last but not least, di chiedermi il perché di quello che stavo facendo, le motivazioni per cui usavo un certo materiale piuttosto di un altro.


Francesca Calzà - Esistono delle costanti nel tuo lavoro? Cosa ti spinge ad indagare questi argomenti?


Stefano Zaratin - Nel corso degli anni, la mia ricerca si è focalizzata su temi diversi, come ad esempio la memoria, o su un oggetto in particolare (ho realizzato una serie sulle tapparelle veneziane). Ma da qualche anno lavoro esclusivamente sui temi ambientali, un problema che dovrebbe occupare la mente di tutti, ma che in realtà viene continuamente rimandato a date indefinite e che nessuno vuole affrontare. Mi piace immaginare un futuro distopico in cui la Natura si adatta a situazioni apparentemente impossibili e, confesso, dai miei lavori traspare un certo pessimismo.


Francesca Calzà - Come influiscono le tue radici culturali e le tue esperienze personali sulla tua pratica artistica? Puoi fornirci qualche esempio?


Stefano Zaratin - Ho una formazione scientifica (perito industriale e un po’ di anni di Ingegneria elettronica all’università) e anche se nel mio lavoro non ci sono elementi direttamente riconducibili a quegli ambiti, trovo che la mia impostazione generale lo sia. L’attenzione al dettaglio, la ricerca dell’ordine, l’indagine sulla natura che a volte mi fa sentire un biologo, sono tutte cose che sicuramente appartengono all’ambito scientifico. Non ho mai pensato di fare l’entomologo, ma poi mi ritrovo ad analizzare a lungo degli insetti, in particolare quelli da cui solitamente ci teniamo più distanti, come le mosche, trascinato dal desiderio di mettere le mani su quello che “bello non è”’.

Stefano Zaratin, "CALLA CONCRETAE", Scultura, cemento, ferro, piombo, colore acrilico, cm 60x45x45, 2023
Stefano Zaratin, "CALLA CONCRETAE", Scultura, cemento, ferro, piombo, colore acrilico, cm 60x45x45, 2023

Francesca Calzà - Puoi condividere con noi qualche particolare del tuo processo creativo?  


Stefano Zaratin - Cerco sempre di fare dei disegni dell’opera che ho in mente; alcune volte eseguo anche dei bozzetti in plastilina se si tratta di scolpire una parte in legno. Mi piace molto "il fare" in prima persona, il fare "artigianale", quindi, anche nel caso di stampi in gesso o fusioni in piombo, cerco sempre di essere autonomo. Non ricerco la perfezione in queste pratiche (nonostante il mio passato scientifico), perché mi piace essere sorpreso dal "caso", ad esempio da come si trasforma un positivo dopo alcune tirature con lo stesso stampo, che inevitabilmente si deteriora con l’uso.


Francesca Calzà - Come nasce un’opera, parti sempre da un’idea predefinita? 


Spesso lo spunto viene da un certo materiale, magari qualcosa che è rimasto a lungo nello studio e che aveva solo bisogno di tempo per "rivelarsi", oppure da un nuovo strumento con cui sono entrato casualmente in contatto, come la penna 3D, che mi ha aperto delle pratiche realizzative prima sconosciute. Altre volte lo stimolo deriva dal tema di un concorso, che percepisco sempre come una sfida personale. Altre volte ancora, da una mostra visitata, magari di opere lontane dalle mie, ma che riescono comunque a mettere un seme destinato a germogliare. Durante una residenza del 2024 ho avuto a che fare con un'azienda tessile e, quindi, mi sono documentato sulla stessa azienda, sui materiali da essa utilizzati (in particolare il cotone, che non avevo mai usato prima) e sul processo industriale, ed è stato molto entusiasmante. Non sempre le opere realizzate sono uguali all’idea originaria: a volte prendono strade un po’ diverse, ma il bello sta anche in questo, nell’assecondare il lavoro che sta crescendo, nel mettersi "in ascolto" senza voler a tutti i costi imporre il nostro "ego". Una pratica che, secondo me, dovremmo adottare sempre, per migliorare le relazioni e creare un ambiente migliore.


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