Elisa Muscatelli – Hai un’esperienza professionale interessante, una preparazione didattica in pittura all’accademia di Venezia e un’esperienza professionale in un laboratorio artigianale del marmo, dove hai sperimentato tecniche di scultura. In che modo queste due discipline trovano equilibrio nei tuoi lavori?
Francesco Casati - Ho ripreso da qualche anno il mio percorso in Accademia, che avevo interrotto per fare questa esperienza in laboratorio che è durata cinque anni. Gianluigi, il marmista, mi ha insegnato a lavorare il marmo e nel frattempo ho imparato ad osservare le immagini da un altro punto di vista, quello tridimensionale. Non riesco a dire in che modo questo abbia contribuito al cambiamento delle mie opere, voglio dire, sicuramente in qualche modo lo ha fatto, ma è difficile vederlo in modo analitico e prenderne consapevolezza.
EM – Sì sono quelle domande da critici e curatori incuriositi da ogni scelta formale. Però non è solo curiosità morbosa, notavo come nelle tue opere ci sia sempre una texture che accompagna il soggetto, a volte lo copre come in “Ballerina”, mentre in “Movimento Mellifluo” si impadronisce della tela.
FC – In Movimento Mellifluo queste trame diventano i soggetti dell’opera, mentre negli altri casi è più un procedimento di partenza. Parto sempre da un bozzetto su carta che avviene in modo molto spontaneo, poi attraverso la tela indago che pelle possono avere le figure, inserendo o scoprendo il soggetto nella superficie e scegliendo fino a che punto mostrarlo. A volte scelgo di aggiungere un’altra trama, altre volte di mimetizzarlo, altre ancora di esporlo alla luce o di cancellare completamente la prima superficie.
EM – Quando hai parlato di luce mi hai ricordato lo scintillio del sole sulle acque della laguna veneta. La città influisce sul tuo lavoro?
FC – Venezia mi piace molto, mi sono appena trasferito in una nuova casa e credo ci rimarrò per un po’. Per me è una città molto stimolante dal punto di vista artistico e c’è molto confronto. Credo che derivi anche dalla conformazione della città, per arrivare in un posto devi camminare quindi non conta solo la meta ma anche chi incontri nel tragitto. Ci sono le stesse difficoltà di altre città come Milano e Firenze, gli spazi per gli artisti costano cari ma comunque si riesce, c’è molto spirito di aggregazione.
EM – Entriamo nel tuo studio. C’è qualcosa che è sempre presente? FC - Sì, un vecchio disegno del 2009 che mi porto sempre dietro, Il cuoco, lapis su carta.
EM – Ho notato che utilizzi diversi formati, passi da tele due metri a formati piccoli da quaderno, è una scelta motivata?
FC - Utilizzo formati di dimensioni molto diverse. In genere preferisco tavole da 20/30 cm, forse perché mi riconducono alla familiarità che da sempre ho con il supporto del disegno. Nonostante questo non mi voglio viziare, quando lo spazio lo permette mi metto alla prova con dimensioni maggiori. Dipingo anche sugli oggetti come si vede in I trastulli del beato turbamento, in quel caso i supporti in latta contengono delle figure in carta: strati di cartone vegetale che sovrappongo, levigo e poi dipingo.
EM – Mi viene da pensare che questo aspetto scultoreo del foglio bidimensionale derivi dalla tua esperienza in laboratorio
FC – No, in realtà è arrivato molto prima. La prima volta che ho pensato a sculture fatte di carta è stato alla scuola materna, per creare Spiderman, ma ero troppo piccolo. Già alle elementari realizzavo giocattoli di carta ritagliando le sagome dei disegni che facevo e incollandole una sull’altra per creare delle figure tridimensionali.
EM – Ci sono stati riferimenti o momenti che hanno avuto un particolare impatto nello sviluppo della tua carriera?
FC – Non so veramente risponderti. Penso che scoprire da ragazzo il lavoro teatrale di Dario Fo mi abbia reso più felice.
EM – Adesso il tuo immaginario artistico è cambiato, nelle tue opere compaiono “Ballerina”, “Il cavallo Bassotto”, “Mirò”, “La dracena stanca”, “Il Re che piangeva”, titoli delle tue opere ma anche personaggi che popolano la tela. Quali sono i riferimenti del tuo immaginario e come si sono costruiti nel corso del tempo?
FC – I titoli e le opere stesse sono come una satira, Ballerina gioca a livello iconografico alterando le forme corporee che una ballerina solitamente ha. Il Re che piangeva e Il cavallo Bassotto sono frutto di riflessioni quotidiane e di soggetti che hanno dei contenuti a volte amari, per questo motivo li guardo da una prospettiva ironica.
EM – Stai lavorando a qualche nuovo progetto?
FC – Sì adesso mi sto occupando di un progetto che è nato da una collaborazione con Roberto Nardi e Davide Saccuman. Si sono interessati al mio lavoro e stiamo realizzando un progetto alla libreria Minerva a Padova che sarà presentato a marzo. Si tratta di un’installazione e di opere di piccoli e grandi formati che dialogano con dei riferimenti letterari suggeriti da Roberto. Mi entusiasma molto l’idea del confronto.
Francesco Casati (Verona, 1990) vive e lavora a Venezia. Laureato in Arti Visive e Discipline dello Spettacolo, indirizzo Pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia ha interrotto il suo percorso didattico per maturare esperienza in un laboratorio artigianale del marmo a Verona riprendendo gli studi nel 2018. Attualmente vive e lavora a Venezia dove prosegue il percorso pittorico al biennio all'Accademia di Venezia. Tra le sue mostre recenti, Omnia Vanitas, a cura di Carlo di Raco, Provvederia di Mestre, 2021; Venice Time Case, a cura di Luca Massimo Barbero, Galleria Tommaso Calabro, Piazza S. Sepolcro, Milano, 2021; Yicca Art Prize, Hernandez Art Gallery, Via Copernico 8, Milano, 2021; Preferirei di no, a cura di Stefano Cecchetto, Galleria di Piazza San Marco, 71/c, Venezia, 2021; Extra Ordinario Appello, a cura di Daniele Capra, Nico Covre, Nebojša Despotovič e Atelier F, Vulcano Agency, Vega, Venezia Marghera, 2020. Vincitore della sezione pittura del Combat Prize 2021 è stato finalista del Premio Mestre di Pittura 2021, finalista del Combat Prize 2020 sezione pittura e finalista del Premio Nocivelli 2020.
- Elisa Muscatelli
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