Francesca Calzà
Francesca Calzà - La tua esperienza professionale e i tuoi studi mettono in luce uno scambio continuo tra le arti performative e la fotografia, questo sentimento che ti lega al teatro come ha influenzato la tua ricerca artistica?
Flavio Di Renzo - Ho sempre cercato un linguaggio che si adeguasse alle mie urgenze seguendo ogni fase della mia crescita personale, momento di vita, ed inevitabilmente contesto sociale che mi circondava. Il disegno non è mai stato sufficiente e nemmeno le arti performative, esplorate prima con la danza contemporanea, dall'età di 9 anni, e poi con il TeatroDanza. Un giorno però, durante una lezione di Catherine Diverres nella Scuola D’arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, dove da poco mi ero trasferito per concludere l’ultimo anno di un Liceo Artistico, mi ritrovai casualmente una piccola macchina fotografica tra le mani, in quel momento ho capito che sarebbe stata l’anello mancante della mia pratica artistica. Attraverso l’occhiello tutto intorno a me spariva e si innescava un rapporto intimo e unico con il danzatore, ero sul palco, danzavo con lui e mi sentivo parte di quella lezione da lontano. Il teatro è stata la mia palestra, mi ha restituito, oltre alle prime capacità tecniche, un’estetica precisa, simbolica, allegorica, dove le immagini sono scandite dalla musica e tutto risuona armonicamente.
Francesca Calzà - Nel tuo lavoro convergono media diversi in grado di completarsi a vicenda, come dimostra in particolare l’App SlashFolder AR, strumento che hai realizzato per animare i tuoi scatti donandogli una forma mutevole, da che bisogno nasce quest’idea innovativa che unisce AR e Fotografia Fine Art?
Flavio Di Renzo - Legandomi alla risposta precedente, era già chiaro che la fotografia da sola, nonostante avesse la capacità di proiettarmi in scena, non mi sarebbe bastata, poiché al di fuori del momento dello scatto il suo prodotto è fermo, immobile e silenzioso. C’è una frase di uno dei miei insegnanti della fotografia di scena, Roberto Masotti, che mi è stata d'ispirazione: “Le immagini devono suonare”. Perché non renderlo possibile? Oggi le immagini attraverso l’AR si muovono esattamente come facevano in quel teatro, risuonano. Il format Opere in continuo divenire mi permette di rendere mutevoli nel tempo i miei lavori consentendomi di approfondirne e proseguirne il racconto. Nonostante un giorno le mie opere saranno lontane da me, io sarò sempre in comunicazione con loro attraverso la Realtà Aumentata. Si tratta dunque di Arte che colleziona al suo interno Arte digitale che altrimenti, per essere fruita, vivrebbe solo in un monitor. In questo modo diversi linguaggi si fondono, convivono esattamente come su un palcoscenico.
Francesca Calzà - Senza allontanarci troppo, vorrei affrontare con te le sfide poste dalle nuove tecnologie e dal loro impatto sulla fotografia. Hai inserito la realtà aumentata nei tuoi scatti per ampliare le loro possibilità espressive, vorrei quindi porti un quesito: come pensi che questi strumenti possano essere implementati senza sostituire gli artisti?
Flavio Di Renzo - Ogni linguaggio si evolve e segue il fluire della storia, ma anche delle diverse possibilità che ci regala la tecnologia, credo sia inevitabile. Tuttavia, ho cercato di sfruttare il potenziale di questi strumenti nel miglior modo possibile; in primis l’AR non sostituisce il reale, ma potenzia le sue possibilità espressive, questo strumento ha la capacità di unire diversi artisti che si incontrano attraverso linguaggi differenti in una dimensione che si sovrappone alla realtà, eppure non la sminuisce, collaborando “a quattro mani” per un fine comune. Alla base di ogni operazione, seppur digitale, c’è l’esigenza di un’artista di comunicare qualcosa, un’idea, un messaggio. Sebbene si tratti di AI, alla fonte di ogni operazione artistica troveremo sempre una mente umana mossa da una motivazione e dalla propria esperienza che è unica ed inevitabilmente fenomenologica.
Francesca Calzà - Se dovessi identificare delle figure di riferimento e dei momenti che hanno influenzato la tua carriera, quali sarebbero?
Flavio Di Renzo - Stavo giusto parlando di esperienze vissute che motivano il mio fare arte. Sicuramente la prima tra queste è quella con la mia famiglia, in particolare con mia nonna Lena e il terremoto dell’Aquila del 2009 che le ha stravolto la vita. Alla base di ogni progetto c’è sempre l’obiettivo di trasformare un evento negativo in qualcosa di positivo per gli altri. La mia fotografia è una sorta di preghiera laica che ha lo scopo di materializzare paure e momenti difficili in messaggi estremamente positivi, seppure l’immaginario stilistico che porto in scena ha toni cupi e scuri. Nel mio percorso citerei Silvia Lelli, fotografa di scena, che ha confermato il mio operato durante gli studi, ma anche Chiara Ferella Falda che mi ha dato molteplici possibilità di testare le mie capacità sul campo con mostre ed iniziative artistiche di spessore. In fine, ricordo che rimasi colpito dagli scatti teatrali di Gabriele Croppi e dal suo modo di costruire la scena. In generale sono sempre stato molto attratto dal romanticismo e dal rapporto dell’uomo con la natura; citando il filosofo Immanuel Kant o il pittore tedesco Caspar David Friedrich ed infine chiamando in causa William Turner, credo dipenda dai luoghi in cui sono cresciuto, tra le montagne.
Francesca Calzà - Parlando delle nostre origini ho potuto cogliere dei sentimenti contrastanti verso la tua terra, l’Abruzzo, regione a cui sei molto legato e a cui hai dedicato un importante progetto Più, potresti parlarci di questo rapporto intricato?
Flavio Di Renzo - Il rapporto con la mia terra d’origine è sempre stato complesso, un legame di amore e odio, questo perché da bambino l’Abruzzo non era sufficiente per la mia curiosità e voglia di fare. Nel progetto Più racconto di una una terra che tradisce, dona vita, lavoro e famiglia, ma allo stesso modo toglie tremando ogni cosa e lascia grandi vuoti. É stato difficile definirmi come persona in quella terra e spesso ricordo alcune esperienze come traumi. Crescendo però ho apprezzato maggiormente il valore di tornare, solo successivamente mi è stato chiaro che il mio punto di partenza sarebbe stato anche la mia destinazione finale, dunque nella mia ricerca si è accesa una luce e secondo la mia poetica ho scoperto la necessità di raccontare, valorizzare e portare a conoscenza quei luoghi. Più è una complessa opera multidisciplinare che si serve di una figura femminile abruzzese che, nonostante abbia perso ogni cosa, si riscopre protagonista della sua vita. È un viaggio composto da moltissime fermate, in ognuna di esse si riflette su grandi temi esistenziali come tradizioni e valori, guardando al futuro con una consapevolezza terrena.
Francesca Calzà - La fisicità è un elemento ricorrente nella tua fotografia, appare visibile in lavori come Lungs, Bodyscape, Riparo dal passato e Giunti, cosa ti spinge ad essere intimamente legato alla dimensione corporea?
Flavio Di Renzo - Credo sia perché ho lavorato io stesso sin da bambino sul mio corpo analizzando il cambiamento dovuto alla crescita ed esprimendo emozioni mediante la danza e la performance. Ogni immagine è carica di simboli, contenitori allegorici nei quali chi osserva può ritrovare la propria esperienza e far sua l’opera. In effetti, nonna Lena è diventata la nonna di tutti, legata all’ulivo, simbolo di forza e durevolezza, tramanda alle generazioni future il suo presente che in realtà è già passato.
In Lungs rappresento due polmoni che si ramificano come fossero alberi, eppure sono senza foglie. Scelta indotta da una recente scoperta: è stata diagnosticata a nonna Lena una fibrosi polmonare che le renderà sempre più complesso respirare. In Bodyscape il suo corpo si fa paesaggio e la pelle nuda ricorda quel tessuto erboso, ma allo stesso tempo spoglio, tipico dell'alta quota. Il riflesso nella parte inferiore dell’opera testimonia che quella sua corporeità un giorno non esisterà più, ma rimarrà sempre riflessa nel ricordo di chi rimane. Riparo dal passato mostra una donna che trova riparo in un capanno realizzato con un “telone”, una rete verde scuro che utilizziamo per raccogliere le olive, le sue mani sempre giunte in preghiera rendono visibile la fede simbolo della famiglia e dei legami forti. In conclusione, Giunti si focalizza nello specifico sugli effetti del lavoro e del sacrificio attraverso le mani di nonna Lena, anch’esse simbolo di uno stile di vita dedicato alla terra.
Francesca Calzà - Per concludere, vorrei chiederti di un progetto speciale Emikrania, lavoro che si concentrerà su una patologia, l’emicrania con aura, con l’intento di coinvolgere anche figure professionali dell’ambito medico, da cosa scaturisce questo percorso?
Flavio Di Renzo - Tutto si lega in maniera organica. Il progetto Emikrania si servirà di tutte le mie esperienze e ha origine dall’esigenza di raccontare, tramite il gesto d’arte, quella che è la patologia di cui soffro fin da bambino: l’emicrania con aura. Emikrania mi accompagna da anni e cerca con gran forza una prima possibilità di realizzazione, brama il confronto ed è in procinto di venire alla luce dopo anni di ricerche e viaggi esplorativi all’interno di me stesso con lo scopo di sensibilizzare lo spettatore che si troverà a vivere, attraverso un percorso espositivo, tutte le fasi di un attacco emicranico. Si tratta di una complessa opera multidisciplinare e multisensoriale divisa in tre capitoli, quante sono le fasi di un attacco emicranico con aura. Il fruitore sarà immerso in un percorso espositivo che lo porterà in chiave artistica a viverle tutte in prima persona. Nel primo capitolo dedicato all’aura si esploreranno linguaggi visivi misti che mixano la fotografia digitale e analogica fino all’esplorazione su più livelli delle diverse tipologie di aura servendosi della realtà aumentata e virtuale per contrapporre l’intelligenza artificiale alle tecniche analogiche e non convenzionali. I soggetti degli scatti sono la rappresentazione metaforica del mondo che mi circonda durante un attacco emicranico. La seconda parte, nella quale verrà approfondito il tema della mancanza del tatto e del linguaggio dovute alla parestesia momentanea, sarà dedicata alla performance. Mentre, nella terza ed ultima parte verranno indagati i suoni e le varie interpretazioni del buio legate ai concetti di isolamento e solitudine. Questa fase sarà supportata da referti medici ed esami visivi effettuati durante gli anni, con cui lo spettatore avrà un confronto positivo che lo spingerà a sensibilizzarsi rispetto al tema trattato, comprendendo l’importanza di un problema medico, ancora troppo sottovalutato e sconosciuto a molti. La natura di questo progetto affonda le radici in un disturbo molto diffuso, ma altrettanto ignorato. Si tratta di una delle patologie croniche tra le più invalidanti, è dunque mio compito attraverso la mia arte mostrare un nuovo modo di percepire la realtà. Credo fermamente che grazie alla condivisione si potrà trovare conforto, forza, ispirazione o semplice riflessione.
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Flavio Di Renzo, classe 1993. Nato e cresciuto in Abruzzo, ancor prima di concludere gli studi decide di spostarsi a Milano, dove tuttora risiede e dove consegue il diploma di maturità presso il Liceo Artistico Caravaggio. Dall’arte performativa al Teatro-danza, a Milano scopre la fotografia, in cui ritrova il proprio linguaggio più autentico. Tuttavia, è grande il sentimento che lo tiene legato al teatro. Tale connubio si concretizza nelle collaborazioni con il Conservatorio Giuseppe Verdi, con la Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi, ma anche con l’Accademia Nazionale di Danza di Roma, il Teatro continuo di Burri e l’Ater Balletto. A Milano completa la sua formazione presso (IED) l’Istituto Europeo del Design, dove, grazie al progetto fotografico Tra Apparenza e Inganno, risulta vincitore della borsa di studio al merito per il master in fotografia avanzata, a cura di Silvia Lelli e Roberto Masotti. Questo percorso lo porterà a realizzare In Equilibrio, sul Confine, esposto nella collettiva fotografica di IED con il supporto della rivista Il Fotografo. Nel 2022, In Equilibrio, sul confine sarà uno dei protagonisti di Caleidoscopio a cura di Fortunato D’Amico e Chiara Ferella Falda per Genova Be Design Week 2022 e Genova stART, presso la galleria d’arte contemporanea Lazzaro. Tra le esposizioni milanesi vanta la personale Milano L’Uomo e la Città – Expo 2015 – Riflessi, a cura di Chiara Ferella Falda prodotta da Superstudio13. Si specializza in Augmented and Virtual Reality presso (IDI) l’Istituto Italiano del Design di Milano. Nel 2021 fonda SlashFolder, grazie a questo strumento mette a punto il format delle Opere in divenire: attraverso l’App SlashFolderAR, la Realtà Aumentata rende vive le opere d’arte. Nello stesso anno si presenta con il progetto Più che ha ottenuto l’alto patrocinio della regione Abruzzo al MIA Photo Fair in collaborazione con RED LAB Gallery nel quale, la rivista Artribune, lo cita tra i dieci stand più interessanti di questa edizione. Seguiranno poi le menzioni d’onore al Monochrome Photo Awards e al Annual Photo Awards e tra tutte, l’opera Bodyscape si aggiudica la finale in Arte Laguna Prize 2023 e dunque l’Arsenale Nord di Venezia. Inoltre, è uno degli artisti di Looking for Art per il quale aderisce al progetto d'arte per Palazzo Borromeo Segno, a cura di Francesca Bardazzi, seguito dalla mostra collettiva, a cura di Marco Eugenio Di Giandomenico, Liberi dalle Barriere, presentata a Palazzo Reale di Milano e poi esposta presso lo Spazio Big Santa Marta. Recentemente è stato premiato alla nota fiera d'arte contemporanea torinese Paratissima.
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